Me lo immagino già il Futuro.
Immagino già le sue grosse mani
pronte a palpare l'interno rigido e
ansioso di una vita fottuta,
forse si, forse no.
Blocco, mi blocco,
maledizione!
Dannazione!
Ti muovi tra le budella,
sottile e feroce,
come un leone in posizione d'attacco,
quasi mi ami
in quest'eterna paranoia.
E cado nell'eterno regno del pensiero,
cado, cado, cado
a braccia aperte, come l'Amore,
a raccogliere freddo, orgasmi,
il piscio dell'handicappato del quinto
piano,
le liti, i telegiornali che parlano di
crisi,
gli occhi del ragazzo con cui scopo da
un mese,
il rosario tra le mani della vecchia,
l'amante e i suoi capelli imbarazzanti,
il ferro da stiro immobile.
CHIUDETE TUTTE LE FOTTUTE FINESTRE!
Anche se è inutile.
Bisogna solo aspettare
perchè tanto prima o poi ci arrivi.
Prima o poi il freddo lo tocchi,
con tutti i suoi orgasmi, con il piscio
dell'handicappato,
con le liti, telegiornali burattini
che parlano di crisi,
gli occhi del profumo, il rosario tra
le dita,
la camicia sopra le gambe delicate
dell'amante,
il ferro da stiro immobile, mezzo dio mezzo uomo.
Prima o poi tocchi.
C'è una speranza spenta
sul tuo corpo,
e gli occhi tristi di qualcuno che ha bevuto l'anima ancora una volta.
Addosso,
maledettamente addosso,
puntualmente addosso.
Vene.
Da strappare, pregare,
doppiogiochiste fedeli.
Pensare, comporta automaticamente
a pensare al peggio.
Nessuno scrive se è felice,
nessuno pensa se è ottimista.
Queste vene geroglifiche
strisciano da anni
sul mio orecchio sinistro,
e nel totale abbandono dei sensi
le ascolto mentre
mi parlano di quanto
sia fatale questa giovinezza
che percorriamo a caduta libera,
lasciando impronte più o meno visibili
e una sottile striscia di sale,
e una sottile striscia di sale,
che tra qualche ora uno spazzino trascinerà via.
E poi domani,
cosa ci sarà scritto domani?
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